Perchè la psicoanalisi

L’esperienza di vita, il lungo training formativo e la pratica clinica quotidiana mi consentono oggi di affermare con ferma convinzione che la cura psicoanalitica è lo strumento più completo per trattare la sofferenza psicologica. Quest’affermazione poggia su un aspetto teorico/clinico fondante e cioè che l’uomo in psicoanalisi è considerato nella sua interezza e profondità esistenziale, visione che è al tempo stesso causa e conseguenza di una postura terapeutica centrata sul rispetto dell’essere umano in tutte le sue manifestazioni.

La psicoterapia psicoanaliticamente orientata consente alla persona di acquisire, attraverso la comprensione della dialettica conscio/incoscio, un’autentica padronanza e conoscenza di sé, che si traduce nella vita quotidiana in sentimenti di libertà interiore, autenticità, soddisfazione e pienezza nelle relazioni interpersonali e nella capacità di adattarsi ai limiti che la realtà impone.

La psicoanalisi è spesso criticata sia in ambito sociale che in ambito medico-scientifico con interpretazioni fuorvianti e luoghi comuni. Eccone alcuni:

Primo luogo comune:

“La psicoanalisi non si occupa dei problemi concreti delle persone”

Quest’affermazione è clinicamente scorretta. In psicoanalisi si lavora sulla comprensione della dialettica conscio /inconscio sia a livello intrapsichico sia a livello interpersonale ed è esattamente questo tipo di lavoro che consente di fare emergere conflitti, inibizioni, fantasie e desideri che sono alla base del nostro “poter fare” o “non poter fare” quotidiano.

Secondo luogo comune:

“La psicoanalisi crea dipendenza”

La psicoanalisi casomai aiuta il soggetto a comprendere la propria attrazione o la propria fobia rispetto a relazioni di dipendenza, mostrandone le radici e le ricadute nel reale. Le dinamiche della dipendenza sono sempre osservate in relazione al bisogno di assoluta autonomia o alla difesa da essa. Questo lavoro consente al paziente di differenziare dipendenze disfunzionali da dipendenze sane e creative che consentono la crescita.

Terzo luogo comune:

“La psicoanalisi è un lavoro archeologico fine a se stesso”

Questa è una semplificazione grossolana. La psicoanalisi è un lavoro ermeneutico di risignificazione della storia di vita. I fatti concreti del passato restano effettivamente “passati per sempre”, ma quello che conta sono i significati soggettivi che dal passato ricompaiono nel presente, influenzando negativamente la nostra vita interiore e relazionale. In altre parole il lavoro “archeologico”, se ben fatto, consente al paziente di cogliere le opportunità di cambiamento nel presente.

Quarto luogo comune:

“La psicoanalisi è superata perché Freud è superato”

E’ un’affermazione infondata. La storia ci insegna che Sigmund Freud ha sovvertito le certezze del suo tempo con delle intuizioni teorico-cliniche di portata rivoluzionaria (l’inconscio, il transfert, la coazione a ripetere) che hanno aperto la strada al lavoro dei successivi giganti della psicoanalisi, Anna Freud, M. Mahler, S. Ferenczi, D. Winnicott, M. Balint, W. Bion , M. Klein, H. Kohut, etc….. fino ad arrivare agli attuali O. Kernberg, A. Shore, T.H.Ogden, C. Bollas, per citarne alcuni. Cento anni di fervente dibattito teorico-clinico, partito dalle scoperte fondamentali di Freud tuttora clinicamente imprescindibili e arricchito negli anni successivi da contributi molto importanti, che nel complesso hanno consentito il passaggio da una visione monopersonale a una visione bipersonale della cura psicoanalitica. Oggi la psicoanalisi dialoga fittamente con l’Infant Research e con le Neuroscienze producendo connessioni di inestimabile valore euristico.

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